Un paese a grado zero

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La notte del 16 Settembre scorso le sirene dell’isola del Giglio hanno festeggiato l’avvenuta positiva rotazione della Costa Concordia, rimessa in asse di galleggiamento (l’ormai famoso grado zero) pronta per la messa in sicurezza definitiva e il disarmo.

Come avviene spesso la cronaca quotidiana offre infinite metafore e lezioni di vita, il basso si mischia con l’alto in un teatrino nazional popolare continuo, per cui questo recupero navale (con il suo Monopoli dei porti, si offre vicino al Parco delle Vittorie Piombino ma non ha pescaggio ma coraggio con solo 100 milioni tutto si scava, si offre dalle parti di Viale delle Vittorie Porto Torres, aioooooo, si offre dalle parte di Vicolo Stretto Genova, sotto la lanterna tutto si può fare, temo che il relitto andrà in galera in Turchia senza passare dal via) è ampiamente simbolico dello stato generale di salute del paese, invero molto lontano dal suo ideale grado o saldo zero di bilancio.

Proviamo a mettere in colonna qualche numero, poche cifre anche queste simboliche del naufragio nazionale.
Intanto partiamo dal ratio più importante, il rapporto 3% debito / PIL impostoci (fortunatamente) dai vincoli di bilancio, anche quest’anno purtroppo sfondato a causa della mancata crescita della produzione nazionale, in perenne ormai declino.

Questo magic number leva spazio ai sogni dell’esecutivo Letta, ovvero di avere ancora spazio per un rinvio fiscale (non uno sgravio, un posticipare sia ben chiaro), ovvero per ritardare l’applicazione dell’aliquota IVA maggiorata dopo avere rinviato il pagamento dell’IMU.

Penso che sia ampiamente evidente che un posticipo non è una manovra strutturale, è solo il rinvio di una posta di bilancio o di un flusso di cassa. L’IVA dunque aumenterà da subito, l’IMU tornerà nel 2014 sotto le vesti della nuova “service tax”, che in una ideale equazione sta alla tassa precedente come il rimborso elettorale sta al finanziamento pubblico ai partiti.

Ovvero per fortuna in questi giorni dove il termine “italianità” è molto di moda (AVIO, Alitalia, Telecom) il paese di Schettino conferma la sua enorme creatività verbale, se un oggetto non piace lo si rinomina: lo spazzino diventa operatore ecologico, una manovra sbagliata e criminale un inchino, il finanziamento rimborso, l’IMU service tax (che poi è anche inglese, dai tempi dell’Azzeccarbugli manzoniano è noto che le parole “estere” mettono in soggezione il carro buoi).

Meglio del Gattopardo, qui non si cambia neppure più la realtà, si modifica il lessico.

Aggiungiamo qualche altro numero alla colonna che stiamo componendo, alla fine tireremo le somme di questo abaco ideale.

Abbiamo citato come oggetti del rinvio due sigle molto popolari, appunto l’IVA e l’IMU, che sono così fastidiose da non essere neppure nate palindrome.

Ebbene il delta 1% di IVA si stima (a condizioni ex ante, si scoprirà che questo ennesimo balzello sui consumi li deprimerà in misura ancora maggiore, per cui il gettito fiscale complessivo probabilmente calerà come per magia bibidi bobidi boo) pari a circa 3 mld di Euro annui, l’IMU prima casa (il grande problema nazionale secondo il buon Silvio da Arcore) circa 4 mld di Euro, mentre la restante quota di IMU (molto più depressiva sul PIL per inciso, agendo sull’offerta di beni e non sulla domanda come la componente prima casa) ovvero quella su capannoni industriali, alberghi, negozi e seconde/terze case (poca roba quest’ultima) è di circa 21 mld annui.

Il ministro Moltidanni giustamente afferma gravato del magic 3% di non avere spazio per “risparmiare” questi 1 (4 mesi di IVA) + 4 (IMU prima casa) = 5 mld di Euro di entrate fiscale.

Questo perchè ovviamente lady & gentlemen di tagliare la spesa pubblica Letta & Company non ne hanno nessuna intenzione.

E qui torniamo al Gattopardo di Lampedusa, analizzare tutto (spending review fasulle) per non tagliare niente, anzi in questo modo si riesce anche a incrementare la voce di spesa “consulenze” e a infilare a ruolo paga qualche alto commissario ONU al taglio della spesa pubblica.

Tutte spadine spuntate come quelle dei soldati di stagno. E dire che il bersaglio sarebbe anche bello grosso, a prova di commissario ipovedente.

Altro numero da mettere nell’abaco, la spesa pubblica annua disponibile pare sia di oltre 840 mld di Euro, un numero così cospicuo che piega il neurone più resistente e avrebbe riempito di timore anche Ulissa di rientro ad Itaca.

E qui torniamo ad una altra caratteristica peculiare della già citata italianità, ovvero la “peculiarità”, l’essere sempre e comunque speciali e diversi da ogni altro metro di riferimento.

Ma vorrete mica cari lettori che il nostro Stato così perfettamente e democraticamente uscito dal ventennio e dalla guerra possa essere trattato alla stregua di qualsiasi azienda (!!!!!) del mondo?

Ad esempio (e intanto tiriamo fuori dal cappello a cilindro un altro numerino) i citati 5 mld di Euro (IVA + IMU) che avrebbero consentito non una ripartenza ma almeno una attenuazione nel breve termine della morsa della recessione sui consumi sono circa il 6xmille della spesa pubblica complessiva.

Ebbene signore e signori qualsiasi impresa al mondo in periodi di difficoltà sarebbe in grado di comprimere la sua spesa di almeno il 2xcento in un anno, QUALSIASI.

I nostri maggiordomi, pardon governanti invece con le loro spadine di stagno spuntate non sono in grado neppure di compiere non un taglio ma un graffio superficiale del 6xmille.

Il problema è che la deriva della nave è ampiamente fuori controllo senza modifiche strutturali alla macchina pubblica, il vero levatiano che si nutre mungendo sangue e merda (esattamente come la politica di cui esso è complemento algebrico) dai capezzoli rinsecchiti dello stato.

Un dato per tutti, giusto per sottolineare come la finanza creativa degli ultimi 10 anni e la sciagurata modifica del titolo 5 della Costituzione abbiano ampliato la forbice dello sfascio finanziario: la spesa pubblica totale negli ultimi due lustri circa è passata da 800 agli 840 miliardi attuali, tutto questo ca va sans dire senza aumentare in nessun modo il livello dei servizi erogati ai sudditi cittadini, ma anzi solo ed esclusivamente per il passaggio dei centri di spesa dal livello centrale alle regioni, grazie alle duplicazioni amministrative legate al mancato passaggio delle competenze;

le regioni hanno speso ex novo, lo stato ha continuato a spendere per i servizi che in teoria non dovrebbe più gestire. Un altro capolavoro all’italiana, altro che Roma citta aperta, qui siamo al Satyricon felliniano, un federalismo funzionale senza costi standard e fiscalità federata conduce solo a questo, a quota 840, dove le spade spuntate non osano, dato che si parla di galline e non di aquile.

Per altro sono galline distratte, neppure in fuga, le cose accadono tutte a loro insaputa (l’ultimo ignavo Barnabè), per cui immagino che la spesa sia aumentata per vita propria, senza che nessuno se ne accorgesse.

Dicendoci allora tra di noi sottovoce (pissi pissi bau bau) che di nuovo qualsiasi azienda sana saprebbe rientrate a quota 800 subito (che per amore della precisione sarebbe un 5% scarso, minimo sindacale in periodi di default annunciato), eliminando le duplicazioni e le sovrastrutture amministrative, proviamo a vedere se questo moloch da 800 miliardi sia o meno aggredibile in qualche modo dalle armi non di stagno ma di una spending review davvero SERIA.

E qui scusate apro solo una triste parentesi, mentre le galline a loro insaputa mandavano in vacca i conti pubblici (mangiandosi anni di interessi passivi favorevoli grazie al “nemico” Euro causa di tutti i mali del pollaio) nel contempo sputtanavano anche un intero dizionario Treccani, tanto è vero che oggi parlare di taglio della spese e di rivoluzione liberale è più ridicolo che iscriversi al partito di Ilona Staller (almeno là forse si tromba).

Chiudo la parentesi e torno a bomba a quota 800, citando di nuovo le best practices di processo, le migliori aziende globali sono riuscite mediante profonde ristrutturazioni organizzative e agguerrite revisioni della spesa a compiere in 5 anni risparmi fino al 30%.

Diciamo che noi italiani siamo creativi, per cui diciamo che forse il 20% è il numero (segnate anche questo sull’abaco) alla nostra portata in 5 anni, ovvero diciamo un 4/5% annuo di riduzione della spesa pubblica.

Ed ecco che come per magia si potrebbero risparmiarsi a regime almeno 150 miliardi di Euro.

Tutti da restituirsi sotto forma di tasse in meno, partendo da quelle più recessive quali ad esempio IRAP e cuneo fiscale, restituendo almeno una patina di competitività alla macchina asfittica della nostra economia nazionale. Abbastanza o omeopatico?

Con una congiunta e contestuale revisione del perimetro pubblico (ovvero privatizzazioni, altro termine sputtanato) raggiungere il target minimale della tassazione complessiva al 33% è non solo possibile ma anche auspicabile, il tutto basandosi per altro non sul mondo dei sogni o sulla cabala ma su esperienze e metodologie comprovate nel mondo innumevoli volte.

Basta, per oggi ho dato anche troppo i numeri, siamo partiti dallo zero e siamo arrivati al 33, direi che i 44 gatti lettori della RiStampa hanno abbastanza da meditare per questa settimana!

Stay tuned, alla prossima!

2 commenti

  1. Grazie Ferruccio per l’apprezzamento, si tratta solo di un delirio mentale post prandiale (e come spesso capita il faceto cela seriose verità). E grazie soprattutto per l’auspicio, noi di Fare siamo esattamente mossi da tale desiderio, operare fattivamente per il futuro.

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